venerdì 9 dicembre 2011

Le stelle dell' AIL - Amici per AIL

 Nei giorni 8-9-10-11 dicembre 2011 in oltre 3.800 piazze italiane, torna l’appuntamento con la solidarietà per rendere le leucemie, i linfomi e il mieloma sempre più guaribili.
Si svolgerà infatti la tradizionale iniziativa dell'AIL che fa appello alla solidarietà di tutti, grazie anche all’impegno di migliaia di volontari. Con un contributo minimo di  € 12,00 si potrà contribuire alla raccolta fondi per finanziare progetti di Ricerca e di Assistenza a favore dei malati e delle loro famiglie.

E' un piccolo gesto ma significa davvero tanto. Compravo le stelle di    Natale prima di stare male, l'ho fatto quando stavo male ed ho continuato a farlo. Credo molto in queste iniziative. Nel Natale 2007, durante le cure, mentre acquistavo le stelle, una volontaria ha voluto che le promettessi che l'anno successivo sarei stata li con loro a venderle. E così ho fatto da li in avanti, lavoro permettendo, ho cercato di dedicare un pò di tempo a questo progetto così importante, passando qualche ora allo stand. Quella volontaria mi aveva incoraggiata tanto. Mi piace pensare che chi mi vede li dietro, possa pensare che aiutare l' Ail serve, perchè dopo il buio della malattia può e deve tornare la luce.

E'  necessario il sostegno di tutti per raggiungere un obiettivo irrinunciabile: rendere leucemie, linfomi e mieloma sempre più guaribili. Quindi cosa aspettate, correte tutti ad acquistare una o più stelle Ail!



Inoltre, domani, il programma "Amici di Maria De Filippi" sarà impegnato al sostegno dei progetti dell’AIL. Mandiamo tutti un sms solidale al 45504.







giovedì 17 novembre 2011

Se non si dona, non si riceve.

A settembre è stato presentato a Roma il cortometraggio prodotto dalla Fondazione "Il sangue" in collaborazione con l'AIL " Rosso vivo", che ha partecipato al “Festival Internazionale del Cortometraggio Corti and Cigarettes”.
"Rosso vivo" nasce come messaggio di social marketing, per incentivare la donazione del sangue, tanto critica in molte città d'Italia, quanto essenziale durante le terapie di cura dei tumori del sangue.


Io l'ho trovato nel sito dell'AIL, mi chiedo però chi non è "sensibile" all'argomento come me, l'ha trovato questo video in rete? E' stato pubblicizzato in tv? Qualcuno l'ha visto? In fondo dovrebbe andare a sensibilizzare chi sta bene, chi è in salute, per aiutare chi sta male.
Il video è molto carino e intuitivo, la presenza di attori e volti conosciuti come il Professor Franco Mandelli lo rende sicuramente molto coinvolgente.



La prima volta che mi hanno detto che necessitavo di una trasfusione di sangue/piastrine ricordo di aver subito pensato fossero matti! Io il sangue di un altro??? Poi passata la paura iniziale, mi sono resa conto di quanto fosse necessario, se volevo star bene. E ci sono state diverse trasfusione durante le terapie. E se ho superato quei momenti è anche grazie a chi ha donato per aiutare altre persone, per aiutare me. Non ci si rende conto di quanto sia importante questo gesto, finchè non ti ci trovi dentro.

E' anche grazie a chi dona, sangue e midollo osseo se oggi ci sono più speranze di cura e guarigione. Donare è essenziale. Perchè se non si dona, non si riceve.



mercoledì 19 ottobre 2011

La sindrome del sopravvisuto

Non so se esista questa sindrome, ho anche provato a cercare qualcosa nel web. Prendo spunto dal post di Romina, per alcune considerazioni in merito, poichè questa "sindrome" sfocia in una grande consapevolezza, quella di essere di fronte al fatto che alcune persone riescono a vivere dopo il cancro, ed altre no.

E non c'è un perchè, e non c'è una risposta. Non so se sia destino, se sia scritto da qualche parte.

Durante il mio periodo di cure ho conosciuto tante persone, ed avendo fatto le cure in regime di ricovero, lunghi ricoveri, alcuni compagni di viaggio li ho conosciute davvero bene. Ed è stato ancora più difficile accettare che magari loro non ce l'avessero fatta. Sapere che una ragazza, con cui avevo condiviso la camera, di meno di vent'anni, non ce l'aveva fatta è stata la situazione più dura.

Ti metti in discussione, ti chiedi perchè io sono qui e gli altri no? Cosa avevano meno di me? E' un sottile senso di colpa, che in certe situazioni riemerge, come quando senti/leggi di persone che non ce l'hanno fatta o che stanno male, di nuovo. E' difficile sentirsi sopravvissuti del tutto. Riemerge tutto, così come la paura che tutto possa tornare e travolgerti di nuovo.

Nel mio caso posso dire di aver avuto paura di morire e di aver combattutto tanto perchè volevo vivere. Sono stata fortunata, la ricerca sui linfomi grazie anche alle staminali, ha fatto molti passi negli ultimi anni e ho avuto dottori che hanno fatto le scelte giuste. Non so come sarà domani, ma oggi sono ancora qui e posso dire che tutta la sofferenza delle terapie vissuta sia servita.

Scrivere fa bene, forse perchè come scriveva Romina, nel dopo chemio non è previsto un supporto psicologico. A me aiuta ad esorcizzare quei fantasmi e quelle paure che, nonostante tutto, tante volte tornano.

Dobbiamo impegnarci a vivere questa vita che abbiamo avuto il dono di poter continuare, al meglio, senza dimenticare mai da dove veniamo ma con uno sguardo positivo ad un domani, che ancora spaventa un pò.

venerdì 7 ottobre 2011

Ciao, Anna Lisa.

Si è scritto e detto tanto in questi giorni. Tutti ti hanno ricordato, le tue amiche di oltre il cancro, le tue lettrici nei vari blog, il web, la tv. Ma dopo un altra notte passata a pensarti e il non riuscire a scrivere altri post, ho deciso di dedicarti anche io il mio pensiero. Anche io che poi non ti conoscevo, ma che ti leggevo, in silenzio.

Ho scoperto il tuo blog diversi mesi fa, prima che arrivassero le tv con telecamere ed interviste. Ho letto ogni riga dei tuoi post, spesso rivivendo emozioni e sensazioni vissute.

Sono stata una delle tue tante lettrici silenziose, che ogni giorno, più volte al giorno, apriva il tuo blog nella speranza di leggere un tuo post, nella speranza che ci fossero degli aggiornamenti positivi.

E quando martedì l'ho fatto e ho letto, è stato un tuffo al cuore. 
Si sapeva quanto grave fosse la situazione, ma sapere che non ce l'hai fatta, che non ci sei più, che non ci saranno più post è molto doloroso.

Fa male sapere che la sofferenza che hai vissuto e raccontato, non sia servita ad arrivare a quella cronicizzazione di malattia che tanto speravi. 

Ma ora sei libera. Come scrivevi in uno dei tuoi ultimi post, quella non era la vita che volevi e volevi scappare.
Non so dove tu adesso sia, ma spero in un mondo dove le parole cancro e tumore non esistano. Dove non ci sia la sofferneza ed il dolore che hai vissuto negli ultimi anni. Spero tu sia in un mondo ricco di dolcezza, come il tuo miele e di amore come quello che ti ha unito al tuo "Qualcuno".

Con le tue parole ricche di forza e di positività, hai trasmesso ed insegnato tanto..  a credere nei propri sogni, cercando di realizzarli sempre e comunque, a cercare sempre il lato positivo delle cose e la gioia in ogni giorno della propria vita; a arrendersi mai, ma a lottare, sempre. 

Chi ti ha conosciuto non potrà mai dimenticarti, neanche chi lo ha fatto solo virtualmente come me.

sabato 17 settembre 2011

La non rassegnazione, secondo me.


Mettere nero su bianco i ricordi del primo ciclo di terapia, mi ha fatto tornare alla mente che in ospedale, oltre al pc avevo portato con me un piccolo quaderno di Anne Gaddes, dove annotare i miei pensieri. In questi anni non l'ho più ripreso in mano, fino ad ora, dove ho trovato l'unico racconto scritto in quei giorni, prima che i disturbi della chemio mi piombassero addosso e mi rendessero impossibile il continuare a scrivere. Poche frasi, anche un po' sgrammaticate e scoordinate fra loro, ma reali di vita vissuta nel reparto di ematologia dell'ospedale di Ravenna, nel settembre del 2007. Non bisogna arrendersi, mai.


"La rassegnazione. Oggi voglio scrivere di questo argomento che mi attanaglia la mente da qualche sera. Potrei accendere il pc per vedere il significato emblematico etimologico del termine, ma voglio darne uno tutto mio.
Il termine rassegnazione nella mia mente si è sempre rispecchiato come qualcosa davanti al quale ti devi arrendere, per forza di causa maggiore. 
In questi mesi ho vissuto vari momenti di rassegnazione, ma al peggio non c'è mai fine.
Prima ti rassegni all'idea che ci possa essere qualcosa che non va, pensi ad un piccolo nodulo alla tiroide, e già lì ti sembra d'arrenderti a qualcosa di più grande di te. Ma cos'era un'ecografia di fronte a tutto quello che avrei dovuto affrontare dopo? Quanta rassegnazione davanti alla decisione di doverlo aspirare, e poi di doverlo togliere, e analizzare, e rianalizzare? Per poi doverti rassegnare ad avere qualcosa che ti irrompe dentro senza alcun preavviso, di doverti curare. Per forza. Perché non puoi fare altro. Non hai altra scelta. Ho 27 anni e non ho scelta. Devo curarmi o almeno provarci. Per la vita che avrei voluto vivere. 
Non sono brava a tirare fuori chissà quale forza. La forza ti viene, se non vuoi soccombere ai fatti. Non puoi fare altro. Se non sperare che tutto ciò serva a qualcosa, che sia solo un passaggio di vita, da affrontare, e che tutto tornerà ad essere - col tempo - come una volta, la vita di una volta in cui sognavo la mia casa, con la persona che da sempre mi sono vista accanto, con tanti bambini intorno al tavolo e le brioches da scaldare nel fornetto la domenica mattina, la famiglia del mulino bianco insomma. 
Quanti sogni, spezzati. Una diagnosi e la tua vita cambia, per sempre. Ancora una volta davanti ad una diagnosi forte e ancora una volta a prendere in mano tutto, raccattare pezzi qua e là e cercare di andare avanti, alla meno peggio. 
E tutti che mi dicevano che ero serena negli ultimi mesi. Si, lo ero. Infelice sempre un minimo, per la perfezione mancante, ma erano davvero mesi sereni. Dove avevo stabilito il tanto sofferto equilibrio, tra vari problemi di salute e la vita reale, e non era poi tanto male. Ma è durato poco.
Ma io non mi voglio rassegnare all'idea di non potercela fare. Voglio uscirne, ancora una volta. Voglio sia solo un'ulteriore prova, di crescita, di difficoltà, ma voglio guarire.
Spero di avere un po’ di fortuna, di essere fra i casi che ce l'hanno fatta. Perché credo che qualcuno lassù questa ruota la faccia girare e di meritarmi un po’ di cose belle da vivere e qualche soddisfazione. Perché credo che una mia vittoria sulla guarigione sia anche una vittoria personale per i dottori. Perché credo che con tutte le ricerche degli ultimi anni io possa avere buone probabilità di farcela.
Ci voglio credere. E' difficile. Ma non voglio pensare a tutto quello che non potrò più avere.
Ci voglio credere, per riprendere in mano la mia vita e per quello che vorrò vivere."

giovedì 15 settembre 2011

Il 1° ciclo di chemioterapia ad alte dosi - ricovero e post ricovero

Il primo ciclo di terapia del mio protocollo di cura prevedeva circa 12 giorni di chemioterapia. Sapevo quindi che il ricovero sarebbe stato di diversi giorni, così mi ero attrezzata con il pc con la connessione internet, che mi permetteva di sentirmi parte del mondo nonostante fossi chiusa in un reparto sterile. 

Superata la paura iniziale per l'inserimento a sorpresa del port, alternavo momenti di sconforto a momenti in cui mi sentivo piuttosto carica e forte. A livello mentale ero ancora nella fase dei perché, perché mi sono ammalata? perché proprio a me? Ma a livello fisico mi sentivo bene, ogni giorno chiedevo agli infermieri di turno se fosse buon segno che non avessi nessuno dei tipici disturbi da chemio, nessun malore. Così ripetevo a me stessa che sarei riuscita a tenere botta a tutto, mi caricavo, contavo i giorni di chemio fatta e quelli che mi mancavano alla fine della terapia, certa che da li a poco sarei tornata a casa, dai miei affetti, dalla mia cagnolina che mi mancava tanto, e poi al lavoro, riprendendo in mano la mia vita.

Poi è arrivato l'inaspettato CROLLO, sicuramente meno inaspettato per lo staff medico.
La tossicità della chemio sul mio fisico fu devastante, tanto da dover ricorrere a flebo di  morfina giornaliere per tenere sotto controllo il dolore e valium per me.

Gli ultimi ricordi lucidi sono di ciocche di capelli che cadevano sul cuscino, obbligandomi ad indossare una cuffietta in attesa di tagliarli. I miei capelli. E io che credevo non sarebbe stato necessario farlo..

Poi da lì in poi solo ricordi vaghi, poco nitidi, incrementati successivamente dai racconti della mia famiglia.

Ho cominciato a stare male. Lo stomaco, la pancia, l'intestino, le gambe, la bocca. 
Una mucosite in bocca/lingua mai vista prima fu l'espressione usata dagli infermieri, un grado mai visto neanche nelle immagini dei libri. Ricordo stecche di ghiaccio sul viso per placarne il dolore, che mi impediva di mangiare, se non con l' inserimento della nutrizione parenterale.
Ricordo ecografie urgenti per il blocco intestinale/addominale, l'ipotesi di un intervento addominale  - per fortuna poi evitato - molto rischioso considerando i valori a zero degli esami. Non riuscivo ad alzarmi dal letto perché non avevo forze, anche andare in bagno era diventata un'impresa. Ero sempre assistita notte e giorno da mia mamma che si alternava con il mio moroso e la mia famiglia.

Ricordi poco lucidi di una mia infermiera che mi rade a zero i capelli, portandosi via quel poco che era rimasto della mia femminilità, con il mio compagno davanti a me che mi tiene le mani. E poi di me che mi guardo allo specchio di quel bagno, calva, ma troppo stanca anche per capire e continuare ad osservarmi.
Così stanca e provata da non voler più ricevere visite, da non voler nessun intorno, se non mia mamma; da limitarmi ad un ciao dal letto verso la porta di vetro dietro cui c'erano sempre il mio moroso, mia sorella e mio babbo.

Ricordi sbiaditi di persone che sono venute a trovarmi.

Giorni interi di vita vissuta in quel letto, ridotti in pochi ricordi, ovattati in una realtà che non avrei voluto mi appartenesse.

Poi, piano piano, i valori sono cominciati a salire, e finalmente a distanza di circa un mese, mi hanno dimesso, con l'accordo di usare la mascherina quando venivano persone a casa avendo ancora i valori bassi e con i cerotti di morfina per i dolori, certi che l'aria di casa mi avrebbe aiutato a migliorare.

Certo, ero andata fuori programma a causa della forte tossicità e in quei giorni in teoria avrei dovuto iniziare il 2°ciclo.. invece tornavo a casa dal 1°.. e dovevo cercare di rimettermi al meglio per il proseguimento delle cure. 
Sono uscita dall'ospedale con 10 kg in meno, su una sedia a rotelle poiché la tossicità aveva colpito anche i muscoli delle gambe e quindi non riuscivo più a camminare, una bocca che mi dava ancora diversi problemi e con la paura che la mia Kikka non mi riconoscesse più.. si è vero, il cane non era indicato dai dotto con quei valori, ma mi è stata di grande aiuto perché mi stava sempre vicina e mi guardava con quei suoi occhioni..

Tempo qualche giorno a casa e ho cominciato a riprendere pieno possesso della mia psiche. Mi sono guardata per la prima volta in maniera reale e lucida allo specchio: calva, molto magra, spossata, bianca; privata di tutta la mia femminilità, delle mie forme, della mia vita. Ero davvero io quell'immagine riflessa nello specchio, l'immagine di una persona malata. 
In quel momento è arrivata la vera consapevolezza della mia malattia. Sono stati giorni difficili, più a casa che in ospedale, complice la lucidità della mia mente. E' stata dura. Credevo che non ce l'avrei a fatta a superare e sopportare tutto, mi sono sentita devastata e impotente, presa in giro dalla vita e in alcuni momenti ho pensato davvero che fosse meglio farla finita e lasciarsi andare del tutto, se quella era la vita che mi aspettava. 

Poi, nel giro di qualche giorno, finalmente la situazione è cambiata. La forza che mi hanno dato la mia famiglia e tutte le persone che mi sono state vicine mi ha aiutato tanto, i valori si sono alzati e ho ricominciato a mangiare e camminare.

Ho capito che non potevo e non volevo arrendermi così e che ci avrei provato a tutti i costi a riprendermi la mia vita. Pian piano, pochi minuti al giorno, ho cominciato ad uscire e mi sono comprata una parrucca. Bicolore per non passare inosservata. La mia filosofia era che tanto si sarebbe vista che era finta.. tanto valeva essere trendy!

Ho deciso che volevo tornare a stare bene, per me e per tutti coloro mi stavano intorno. Ho cercato dentro di me e negli altri la forza per tirarmi su e per continuare a lottare e mi sono riproposta di entrare in ospedale con uno spirito diverso.

Perché la vita, per quanto ti metta davanti a situazioni inaspettate e difficili, vale sempre la pena viverla.


domenica 28 agosto 2011

Il mio amico port

Poche ore dopo l'arrivo in reparto, tra un pianto e l'altro, mi hanno fatto preparare subito per l'intervento di inserimento del port a cath. Avevo letto qualcosa nei giorni precedenti il ricovero in merito alla possibilità del port, ma non pensavo che me l'avrebbero fatto mettere subito. Ricordo che ero molto agitata, spaventata, ed avevo anche paura per la cicatrice.

Ricordo, durante l'intervento, di aver chiacchierato e pianto con un simpatico strumentista che per tutto l'intervento mi ha tenuto la mano. Ero agitata, mi rassicurava dicendomi che ce l'avrei fatta e che ci saremmo rivisti per toglierlo.. Inizialmente il chirurgo ha provato ad inserire il catetere nella vena superiore destra, ma non riuscendoci ha optato per la sinistra.. per la serie.. avevi paura di una cicatrice? ora ne hai due.. Così sono tornata in stanza con il mio bel port in titanio inserito sottocute e con due tagli, da un lato e dall'altro.. si sà no.. la par condicio..

Con il mio port ho condiviso le cure e il mio ritorno alla vita.
Mi ha fatto un pò penare durante le cure, spesso nella posizione particolare in cui era bloccava il flusso della terapia e via che la pompa cominciava a suonare perchè si bloccava.. ma poi un pò mi ci sono affezionata. Alla fine mi ha permesso di fare le cure, salvare la mie braccia e le mie vene.
Ho imparato a conviverci bene anche dopo le terapie, anche se ho sempre avuto mille attenzioni verso di lui a non fare sforzi particolari o portare pesi troppo pesanti e poi non potevo ruotare più di un certo tot braccio e spalla e in piscina potevo usare solo la tavoletta, però lo sfruttavo spesso per non portare su le buste della spesa.. "amore porti su tu la spesa.. sai.. ho il port.." ahahhah... E poi lo toccavo spesso, come a sentire se c'era ed era ancora lì, ben posizionato.. La cosa che più mi è mancata durante la nostra convivenza è stato lo stirarsi con le braccia indietro.. ah che gusto poterlo fare!

Poi mi hanno comunicato che secondo le nuove linee guida era necessario rimuoverlo e un pò di ansia mi è venuta. Boh, forse per scaramanzia preferivo tenerlo li. Mi dava sicurezza.. Ma, complice la lista d'attesa, mi è stato rimosso ad aprile, a tre anni dal trapianto, anche se non è certo una garanzia mi sono sentita pronta, ed ora giace in camera nella sua scatolina.

La rimozione è stata un pò dolorosa, ed io avevo paura dell' intervento. La sensazione è stata come se ti tirassero fuori qualcosa che è.. attaccato al tuo corpo.. dopo più di tre anni e mezzo per forza di cose era diventato parte integrante..
Ma tutto è andato bene e riprendere pieno possesso del mio braccio è stato grandioso! Certo le cicatrici da due sono diventate tre ma poco importa. L'importante è essere qui e potere raccontare tutto ciò, gli sguardi della gente non mi hanno mai toccato, neanche quando giravo con il mio gatto bicolore in testa, figuriamoci dopo!